Quando la creatività artistica viene considerata una minaccia.

Quando la creatività artistica viene considerata una minaccia.

Per Platone, l’arte era una minaccia. Temeva il genio, perché non si lascia addestrare. Temeva la follia della creazione, perché non si può arginare con le slide di un consiglio d’amministrazione.

Non ricordo il momento esatto in cui ho iniziato a credere che l’immaginazione potesse essere pericolosa. Ma so che quella convinzione, sottile e persistente, mi è cresciuta addosso come la polvere sulle cose lasciate troppo tempo in soffitta. Nessuno me l’ha mai detto apertamente, ma ho imparato presto che sognare troppo, osare visioni fuori cornice, era considerato un eccesso. Una perdita di tempo. Un disallineamento.

Poi, un giorno, ho letto Platone. Nella sua Repubblica, tra i ragionamenti sull’anima e sull’ordine ideale, c’era un’ombra che aleggiava tra le righe: quella dell’artista. Non l’artista celebrato, ma l’artista temuto. Per Platone, l’arte era una minaccia. Un’illusione capace di distorcere la realtà, un pericolo da confinare ai margini della città perfetta. Per questo, nel suo mondo ideale, i poeti andavano cacciati. Non perché inutili, ma perché potenti. Troppo.

Quella pagina ha cambiato il mio modo di vedere l’arte. Perché se un filosofo della sua grandezza sentiva il bisogno di allontanare gli artisti, allora forse l’arte non è solo bellezza. È rivolta. È alterazione. È un incendio lento che brucia le narrazioni ufficiali, per accendere domande che scottano.

Chi crea ha questo potere: quello di scorgere scenari che ancora non esistono. Chi dipinge, scrive, compone, danza o immagina porta dentro di sé una scintilla ancestrale, un dono primitivo e indisciplinato che non si adatta alle strutture, non firma accordi, non rispetta gerarchie. L’arte non è democratica, non lo è mai stata. Non obbedisce. È leale solo a una cosa: alla verità emotiva di chi la esprime.

Ecco perché i sistemi – soprattutto quelli che hanno bisogno di ordine e controllo – la temono. Temono chi crea visioni alternative. Temono il genio, perché non si lascia addestrare. Temono la follia della creazione, perché non si può arginare con le slide di un consiglio d’amministrazione.

E allora cominciano a deridere gli artisti, a silenziarli, a relegarli a ruoli folkloristici. Oppure, peggio ancora, li assorbono. Li mettono nei musei, nei festival sponsorizzati, nei cartelloni delle città. Trasformano la loro ribellione in estetica. La loro voce in merchandising. E così, poco alla volta, anche l’arte perde la sua rabbia, la sua fame, la sua urgenza.

Ma chi ha davvero conosciuto il bisogno di creare, sa che l’arte non si lascia ridurre. Ritorna sempre. A volte sotto forma di malinconia. A volte come un sogno interrotto. A volte come una resistenza silenziosa.

Perché l’arte è anche questo: il modo più puro che abbiamo per dire che esistiamo. È lo strumento con cui sveliamo, anche a noi stessi, ciò che ancora non abbiamo il coraggio di nominare. È la crepa nel muro. Il graffio su una superficie troppo liscia. È l’antidoto a un mondo che vuole renderci funzionali, performanti, replicabili.

In un’epoca in cui ci viene chiesto di essere produttivi, allineati, ottimizzati, sognare è già un atto rivoluzionario.

Coltivare la creatività non è un lusso, è un diritto. È la nostra forma di libertà più concreta. E non importa se non diventeremo artisti di professione. Importa che restiamo esseri umani capaci di immaginare mondi diversi da quello che ci viene servito.

Perché un giorno, quando tutto sembrerà già scritto, ci sarà bisogno di qualcuno che sappia scrivere da capo.

E quel qualcuno potrebbe essere chi oggi, in silenzio, senza chiedere il permesso, ha custodito il proprio fuoco.


Sono Samuel Lo Gioco e qui esploro il legame tra psicologia positiva, leadership emotiva e work-life balance.

Attraverso storie, riflessioni e narrazione, ti accompagno in un viaggio di consapevolezza per riscoprire un modo più umano di vivere e lavorare.

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Comments: 2

  • Giuseppe A. D'Angelo
    10 Aprile 2025 15:57

    Pensi che Platone fosse volutamente esagerato nel bandire per sottolineare il valore sociale dell’arte? O che lo temesse davvero?

    • Samuel Lo Gioco
      10 Aprile 2025 16:06

      Voglio credere che la critica di Platone fosse più un atto per mettere alla luce il concetto velato. In una Grecia mossa politicamente immagino ci siano state frizioni tra cultura popolare e popolari politico.

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